SaturdaySabato

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It could have been a night like all others. Instead something urged me to get up in my studio in the company of a cold beer… to settle an old account and forever mark on the staff a piece of music that had stayed only in my memory for many years. The origin of these notes dates back to an Easter Eve Saturday afternoon of many years ago… It was a time of absolute solitude. It was the typical time when the person you would like to be with you is living a different life and everything around you has no interest to you. It was the time when a strange physical apathy forced me to look like through a tunnel at the keyboard of my dear old upright Kawai, a companion of great battles. Everything else around me was like out of focus (though I was sober!).
I remember that I felt sorry for myself and thought of doing something dedicated to myself. But what was to be born, in reality contained a desperate desire to communicate, to transform my pain into a grace to be given. That was why, for the first time in my life, I abandoned all “learned” musical languages and instinctively rested my both hands’ fingers on the keyboard in search of sounds of a disarming simplicity. It was immediately B minor. Much later I realized that that was only the echo of my obsessive listening again and again of the final movement of Tchaikovsky’s Sixth Symphony in B minor, just to stay on the subject of “cutting one’s veins”.
Since that afternoon, every time I have to test a piano for the first time to worm out its sound, I start with these simple chords, well distributed there in the centre, born on an Easter Eve Saturday of many years ago. Only in this way I can read an instrument’s heart.
Last night I definitively fixed on paper this little piece, trying to keep its improvisational instinct, forcing myself not to get dominated by the development mechanisms of the good musical craftsmanship.
The only protagonist is its moving simplicity.
Poteva essere una sera come tutte le altre.
Invece qualcosa mi ha spinto a salire in studio in compagnia di una birra fresca …
per chiudere un vecchio conto e imprimere per sempre sul pentagramma un brano che era rimasto solo nella mia memoria per lunghi anni.
La sorgente di queste note risale ad un sabato pomeriggio di una vigilia di Pasqua di tanti anni fa …
fu un momento di assoluta solitudine;
fu il tipico momento in cui chi vorresti fosse con te sta vivendo un’altra vita e tutto quello che ti circonda non ti interessa;
fu il momento in cui una strana apatia fisica mi costrinse a guardare come in un tunnel la tastiera del mio caro vecchio Kawai verticale, compagno di grandi battaglie; tutto il resto attorno era come sfuocato (ero sobrio però!).
Ricordo che mi facevo pena e pensai di fare qualcosa dedicato a me stesso; ma ciò che stava per nascere aveva in realtà un disperato desiderio di comunicare, di trasformare la mia pena in grazia da donare. Fu per questo che, per la prima volta nella mia storia, abbandonai ogni linguaggio musicale “erudito” e appoggiai istintivamente le dita di entrambe le mani sulla tastiera in cerca di suoni di disarmante semplicità.
Fu subito si minore.
Molto più tardi compresi che era solo l’echo del riascolto ossessivo dell’ultimo movimento della Sesta Sinfonia in si minore di Tchaikovsky, tanto per stare in tema di “taglio delle vene”.
Da quel pomeriggio, ogni volta che devo provare un pianoforte per la prima volta per carpirne il suono, parto da questi semplici accordi ben distribuiti là in mezzo, nati un Sabato di un vigilia di Pasqua di tanti anni fa. Solo così leggo il cuore di uno strumento.
Stanotte ho fissato definitivamente in uno scritto questo piccolo brano cercando di mantenerne l’istinto di improvvisazione, forzandomi di non farmi dominare dai meccanismi di sviluppo del buon artigianato musicale,
L’unica protagonista è la sua commovente semplicità.

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